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UNA DONNA SEMPLICE
(UNE HISTOIRE SIMPLE)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 1 marzo 1979
 
di Claude Sautet, con Romy Schneider, Bruno Crémer, Claude Brasseur, Madeleine Robinson (Francia, 1978)
 

Una donna decide di abortire, mentre vive con un uomo che l'ama, ma che lei non ama più. Alla fine, aspetterà un bambino dal suo primo marito, e deciderà di tenerselo. Con un dettaglio: che anche il riavvicinamento al suo primo marito sarà un tentativo fallito; e la donna deciderà di vivere sola, con il figlio che attende.

La storia semplice di Claude Sautet è tutta qui. Una donna semplice ha molti punti in comune con Una donna tutta sola, traduzione fasulla dell'americano An Unmarried Woman, il film di Paul Mazursky premiato a Cannes un anno fa. Per una prima ragione: sono ambedue opere desiderose di portare il problema dell'emancipazione femminile, un tema sociale, di fronte alla grande platea. Con il dubbio se inserire questi dualismi seri in una formula che soddisfi le esigenze anche spettacolari del grosso pubblico. Con il rischio, di conseguenza, di edulcorarli per poter piacere al pubblico.

Per una seconda ragione: che ambedue poggiano in modo determinante sulle protagoniste, Romy Schneider eJill Clayburgh, privilegiando i risvolti psicologici di quei personaggi a scapito di una pittura corale. Sono dei poemi dedicati alle figure femminili dei film, ideati in modo che le attrici ne escano facilmente esaltate (Romy Schneider che vince il «Cesar», la Clayburg che ottiene il premio a Cannes).

Terzo: ambedue i film seguono uno schema obbligato. Anche se le due storie sono dissimili (nel francese c'è la faccenda dell'aborto, e la donna è già sola all'inizio; nell'americano, la protagonista è lasciata dal marito, ed inizialmente entra in una crisi difficile) la sequenza chiave, ed il significato dei due film sono identici.

Sia nel film di Sautet che in quello di Mazursky la protagonista e le sue amiche finiscono per trovarsi riunite, in una scena-perno del film. Qui la donna (e, nelle intenzioni dei registi, lo spettatore) si rende conto di una nuova coscienza femminile, di una nuova solidarietà, di un nuovo significato di essere donna (non necessariamente subordinata al compagno) che la illumina sul proprio futuro.

E, per terminare, il significato: la donna decide di separarsi dal compagno, o di vivere comunque in modo autonomo, non per andare con un altro. Ma, semplicemente, per essere autonoma. E l'uomo, in ambedue i film non comprende questo fatto, che esula da una logica accettata da sempre.

Delle due opere, questa di Sautet, malgrado la sincerità e la sensibilità dell'autore, è quella che meno ci incanta. Già nella stesura della sceneggiatura, innanzitutto. La cartina reagente, l'episodio che sensibilizza la decisione di Romy Schneider, è in una vicenda parallela: quella del fallimento esistenziale, con conseguente suicidio, del marito di un'amica. Amica con la quale, dopo una bella scena di comunione femminile, Romy continuerà a vivere.

Sinceramente, un nesso profondo(a parte quello del logico trauma per l'evento drammatico) tra le due cose noi non l'abbiamo visto. Si, certo, il marito di Romy non fa più di tanto per aiutare il marito candidato suicida. E quindi la protagonista conclude definitivamente sul suo egoismo. Però il tutto è un po' semplicistico. E quello del semplicismo sembra essere un po' la base del cinema di Sautet. Le sue storie sono impegnate, i suoi attori recitano con sensibilità, le sue immagini sono impeccabili, le musiche adeguate. Ma alla fine si resta con la propria fame, proprio per dirla come i francesi. Non c'è mistero nei suoi film Tutto è descritto, spiegato, suggerito. Nulla è lasciato all'immaginazione dello spettatore. Manca quel vuoto, quel bianco, quella parte che non si riesce a comprendere e spiegare ma che è preziosissima, fondamentale per elevare il significato di una creazione artistica.

Un cinema più che onesto, ma troppo suggerito, troppo evidente. Quando si vuol fare comprendere che Romy è una quarantenne ancora ansiosa di vivere e di dare, Sautet la fa sdraiare al sole, con un sorriso di sensuale soddisfazione, mentre si scopre le ginocchia sollevando leggermente la gonna. Quando ci vuol dire che la donna non partecipa al mondo sociale che la circonda nella fabbrica, ce la mostra assente ad una riunione dove il sindacalista pronuncia le solite frasi fatte.

Tutto bello, bisogna che tutti capiscano: però il rischio è ciò che dicevamo all'inizio, quello di schematizzare di annacquare, di banalizzare. Molte cose di questo film osannato da una parte della critica, anche la tanto decantata recitazione della Schneider, sono certo sincere e dirette, ma anche terribilmente scontate, enunciate e, alla fine, a rischio vanificazione.


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